L\’educazione nella comunità cristiana

All'ultima cena della fraternità, giovedì scorso 26 gennaio, ha preso parte una coppia di giovani sposi, Davide e Rosa che durante la messa e, successivamente, anche nel corso della cena comunitaria, hanno dato la loro testimonianza su come vivono il problema dell'educazione nella comunità cristiana in base alla loro esperienza di genitori giovani, di famiglia giovane, alle prese con l'ingresso in una Comunità pastorale diversa dalla parrocchia nella quale erano cresciuti assieme. E ci hanno reso partecipi delle loro riflessioni, dei loro sogni e delle loro preghiere. E per questo li ringraziamo di cuore.
Ma ecco quanto ci hanno detto alla conclusione della liturgia della parola:
"È stato bello per noi – e per questo vi ringraziamo – ricevere l'invito a ripensare alla dimensione dell'educazione nella comunità cristiana adesso che siamo famiglia; proprio in questo periodo in cui ci interroghiamo molto sull'appartenenza alla parrocchia, confrontando il nostro passato da oratoriani attivi in vari ambiti (animazione, catechesi, liturgia) e il nostro presente di famiglia con un bimbo piccolo e uno in arrivo in una parrocchia nuova in cui non è così scontato inserirsi.
Condividiamo con voi alcuni nostri sogni, desideri e aspettative, rilette alla luce della parola di Dio che la liturgia ci propone oggi.
Atti 16, 1-5
Ci sembra interessante il particolare di questo brano che racconta di una famiglia (una mamma giudea credente e un padre greco) che lascia partire il proprio giovane figlio Timoteo con Paolo che – in questa fase – è impegnato nel suo secondo viaggio missionario.
Sogniamo quindi un oratorio come luogo di genitorialità sociale, dove si sperimenta che un adulto può prendersi cura dei figli degli altri. Quindi dove si sente che quello che è di altri vale quanto il proprio e merita la stessa attenzione e lo stesso impegno. Dove si percepisce che gli altri ti appartengono almeno un po' e tu a loro.
Chiediamo al Signore di saper lasciare andare un domani i nostri figli; chiediamo di essere capaci di metterli nelle mani altrui, di condividere la nostra responsabilità educativa con altri adulti, con altre famiglie.
Preghiamo che lo Spirito santo ci aiuti a cogliere sempre che affidare i propri figli è una risorsa e un'opportunità per cui rendere grazie.
Tito 1, 1-5
La seconda lettura è l'inizio della lettera a Tito, inizio nel quale si presentano il mittente e ilo destinatario dello scritto.
Paolo si presenta come servo di Dio ed è interessante, se pensiamo al Vangelo di oggi su cui ci soffermeremo tra poco.
Tito è presentato come "vero figlio nella fede comune". È bello che ritroviamo un altro legame famigliare, anche se non di sangue ma spirituale.
Sogniamo un oratorio che sia spazio di legami profondi, dove i nostri figli abbiano modo di essere affiancati da dei padri spirituali intesi non solo come sacerdoti, ma anche come persone che possono interrogare per il loro modo di ricercare e di dire la fede.
Il brano si conclude con un saluto che è di augurio e di benedizione: "Grazia e pace da Dio padre e Cristo Gesù, nostro salvatore".
In una società come quella attuale, dove i figli soprattutto preoccupano o non ti capiscono, ci sembra importante recuperare questa capacità di benedire – di dire bene/trovare del bene in loro – e accompagnarli con parole incoraggianti, di speranza.
Benedire è anche affidare a Gesù, ben sapendo che noi possiamo operare fino a un certo punto, perché ci sono dei limiti che per gli uomini sono invalicabili.
Sogniamo quindi un oratorio che faccia percepire la presenza di un Dio che ci accompagna nei nostri impegni.
Vangelo di Luca 22, 24-30a
Sentiamo realmente che il Vangelo di oggi parla della nostra famiglia e della nostra comunità cristiana. Innanzitutto rispetto al perdersi in discussioni su chi fa di più, chi ha ragione, chi è migliore … e questo subito dopo aver ricevuto doni grandi o essere chiamati a condividere pensieri e dolori ben più seri.
Infatti la discussione tra i discepoli si colloca nel contesto dell'Ultima Cena, subito dopo che Gesù ha offerto il suo corpo e il suo sangue e ha sollevato la questione del tradimento. In risposta i discepoli riescono solo a chiedersi: "chi di noi è il più grande?"
Anche per noi – noi coniugi precisiamo – è una tentazione costante quella di rivendicare dei primati nell'impegno, nel dedicarsi alla famiglia, nel fare dei sacrifici per l'altro… E, soprattutto, queste continue rivendicazioni superano di gran lunga le volte in cui riconosciamo invece quanto in realtà riceviamo dall'altro. La premura di far capire le proprie fatiche e volte ci offusca talmente da non farci cogliere che esistono questioni ben più importanti da trattare.
Questa gara a chi "è" di più è anche la dinamica che ricordiamo tra le più dolorose dei gruppi parrocchiali di cui facevamo parte e che temiamo come pericolosa pensando al futuro dei nostri figli in oratorio.
Il secondo motivo per cui questo brano è così importante per noi è quello dell'immagine del "servire a tavola", che ci ricorda un gesto quotidiano nelle nostre famiglie, specialmente quelle con bimbi molto piccoli, come la nostra. Noi siamo "i grandi", ma proprio per questo siamo continuamente chiamati ad alzarci, affaccendarsi, a "servire" nostro figlio.
Ci sembra bello e interessante che Gesù usi questo esempio per farci capire cosa intende quando dice di sé "Io sto in mezzo a voi come colui che serve". In questa frase i verbi, le azioni di Gesù ci sembrano particolarmente significative, specie se messe in relazione con altri passi del Vangelo.
Facendo una piccola ricerca, infatti, abbiamo notato che:
• "sto in mezzo": Gesù quando guarisce, spiega, opera si mette in mezzo, tra le persone, al centro – al cuore – di quanto sta succedendo. È un invito anche per noi e un sogno che abbiamo per l'oratorio… che è un luogo che chiama a non isolarsi, appartarsi, defilarsi, ma a mettersi in gioco, a buttarsi nelle situazioni e tra la gente, rendersi protagonisti di quanto viviamo.
• "serve": la figura del servo per Gesù non è mai marginale, in disparte; è sempre fondamentale, necessaria anche se a livello sociale è considerato l'ultimo. Colui che serve, serve. Cioè "serve"/è utile chi si mette a servizio, a disposizione.
Sogniamo, alla fine, un oratorio dove si sperimentano proposte e stili di gratuità, di dedizione, di servizio, del mettersi a disposizione con la voglia di incidere/cambiare la realtà con umiltà.
Signore, aiuta le nostre famiglie a essere protagoniste della tua Chiesa, anche attraverso il servizio oratoriano. per costruire – qui e ora – il regno che t ci hai promesso.
Maria, tu che sei la serve per eccellenza, intercedi per noi e per i nostri figli, affinché troviamo in Gesù, tuo figlio vivente in mezzo a noi, l'esempio e la pienezza della nostra vita".