L’invito a essere Comunità viva e non muta e sorda

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29 10 2013

(a cura di Mario)

È assodato: siamo in tanti (ma non tutti ancora) a credere nella Comunità Pastorale Giovanni Paolo II in quest'angolo di Milano che dal fondo di via Melchiorre Gioia si spinge oltre la ferrovia e abbraccia tutto il territorio di Greco. Due Parrocchie (S. Maria Goretti e San Martino) che hanno imparato a volersi bene, a credere che l'unione fa la forza e a lavorare assieme per portare la Parola, il Vangelo, in ogni casa, in ogni via, in ogni piazza, cercando di portare la luce anche negli angoli più bui (e vanno aumentando di numero) del territorio.

Ne abbiamo avuto la prova domenica 20 ottobre, quando abbiamo festeggiato il secondo anniversario di vita della Comunità. Una cerimonia senza tanti fronzoli: una chiesa al completo, una celebrazione liturgica accompagnata dal coro, tanti giovani e un don Giuliano che all'omelia è stato chiaro sul significato di Comunità e sul senso di appartenenza alla Chiesa.

Novità importante: nei primi banchi sedevano le autorità civili; il presidente e alcuni rappresentanti del Consiglio di Zona 2, alcuni rappresentanti del mondo scolastico, i responsabili dei due centri di accoglienza (quello delle donne rifugiate politiche di via Sammartini e quello oggi gestito dalla Caritas ma più noto per essere l'ex rifugio di Fratel Ettore), la rappresentanza di M'ama Food, la cooperativa formata dalle rifugiate politiche che organizzano pranzi e catering armonizzando sapori e profumi etnici con quelli di casa nostra. C'erano anche i responsabili del gruppo sportivo San Martino sfrattati dal campo di calcio in via Rimembranze di Greco occupato dal cantiere delle Ferrovie e oggi non ancora restituito nonostante il sovrappasso ferroviario sia ormai terminato da un paio d'anni. E c'era anche il presidente del gruppo SOS che in via Zuretti ha un centro di pronto intervento con le ambulanze.

Sono arrivati rispondendo all'invito di don Giuliano che vuole capire quanto la Comunità conti per la città e quanto le autorità a loro volta vengano considerate dalla Comunità.

Così l'omelia è servita a richiamare all'ordine un po' tutti, a capire cosa ci stia a fare una chiesa in un quartiere. La chiesa, ha ricordato don Giuliano, non può limitarsi ad essere un distributore di servizi (messa, battesimo, comunione, cresima, matrimonio e funerale). La Chiesa è fatta per essere il punto di riferimento di una Comunità fatta di fratelli e di sorelle che – come ripetono Papa Francesco e il nostro Arcivescovo – si fanno missionari e percorrono le strade del quartiere campo/mondo con occhi aperti, orecchie attente, aperti al dialogo e pronti a prendersi cura degli altri.

Il Vangelo dice che è dal frutto che si vede la bontà dell'albero e che da un albero cattivo non nascono frutti buoni e viceversa. Ma noi, Comunità Giovanni Paolo II, che frutti produciamo? Vediamo cosa sta succedendo attorno a noi; vediamo le sale da scommesse e quelle da gioco che aprono sempre più numerose nel nostro quartiere? Vediamo il numero che cresce delle vetrine che inalberano le insegne dubbie di centri-massaggi? Non pensiamo ai rischi dei nostri ragazzi che incrociano altri luoghi bui, i palazzi dagli uffici oggi abbandonati, che nascondono insidie di ogni genere e che la notte diventano covi di attività proibite? E che iniziative pensiamo di prendere per evitare che anche le scuole del quartiere si degradino per la mancanza di mezzi, per l'incuria o la mancanza di volontà di chi quelle scuole dovrebbe curarle, abbellirle, ingrandirle…

Il mondo che ci circonda cambia e anche i cristiani sono chiamati a cambiare di conseguenza, ad adeguarsi. I rifugiati politici, i fratelli in fuga dagli orrori della guerra quando arrivano in questo lembo di Milano diventano nostri parrocchiani, dobbiamo farli sentire membri della comunità. Dobbiamo muoverci per loro. Sono occasioni di testimonianza – ha concluso don Giuliano –  ma anche di conversione. Sono i frutti che possono testimoniare della bontà delle nostre radici. Sono ciò che lo Spirito chiede, che lo Spirito ci chiede.

Un'omelia che ha colpito la Comunità, ma che non ha lasciato indifferenti neanche i nostri invitati che, più tardi nel salone sotto la chiesa prima di condividere il pasto comunitario con noi, hanno condiviso i concetti espressi da don Giuliano, chiedendo –  e offrendocollaborazione per affrontarli unendo gli sforzi e le forze. Speriamo siano rose, perché in quel caso fioriranno…

Cliccando qui puoi leggere gli interventi di alcuni invitati

QUI trovi la galleria fotografica

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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