Il lavoro è per la famiglia e non la famiglia per il lavoro

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15 05 2012

Tema di doppia attualità, questo: per la polemica sui negozi aperti anche la domenica, il giorno dedicato al Signore, e – soprattutto in queste settimane – per l'avvicinarsi del VII incontro mondiale delle Famiglie. Mons. Eros Monti, Vicario episcopale per la vita sociale della Diocesi ambrosiana offre questa meditazione nella prima pagina dell'ultimo numero di Newsletter, la rivista ufficiale di Family 2012.

«Il lavoro è per l’uomo e non l’uomo per il lavoro». Parafrasando questa affermazione della Sacramentum Caritatis (n. 74) in prospettiva familiare, «il lavoro è per la famiglia e non la famiglia per il lavoro», siamo subito condotti al cuore della quinta catechesi. Essa richiede però un netto ribaltamento di prospettive. In Genesi 1,1-2,4, la creazione viene presentata come un crescendo, in cui gradualmente la Parola-azione di Dio fa esistere il mondo ponendovi al suo compimento, il sesto giorno, l’uomo e la donna. Ma il settimo giorno Dio sospende ogni suo lavoro, benedice quel giorno e lo consacra (cfr. Gen 2,2-3 e il comandamento del sabato in Es 20,8-11).

Sorprendentemente, nella prima settimana della storia – paradigma insuperabile di ogni altra settimana, quindi dell’intero tempo dell’umanità – l’operosità dei sei giorni è interamente finalizzata al riposo, cioè alla pienezza di vita del settimo! In netta discontinuità rispetto al nostro tempo, in cui anche la festa, spesso, è vissuta in vista del recupero delle energie necessarie alla ripartenza lavorativa successiva.

Vivere lavoro e festa in prospettiva familiare implica un ripartire da qui, dall’ordine da Dio stesso prescelto per noi. Il lavoro, da tragica necessità, potrà allora essere inteso come chiamata, risorsa per l’umanità stessa, che mediante il lavoro cresce, crea sempre nuovi legami, mette a frutto le potenzialità di cui è dotata, umanizza il mondo perché diventi sempre più dimora abitabile da tutti. Così la festa: alla luce del “settimo giorno” diviene occasione favorevole perché l’intero vissuto si apra alla prospettiva di un compimento che non è l’uomo da sé stesso a darsi.

Vivere la festa significa fruire di un tempo in cui sperimentare la gratuità: in famiglia, tra marito e moglie, con i propri figli; per ritrovarsi come comunità cristiana; per vivere relazioni più approfondite con parenti e amici; trovando tempo per l’ascolto, per la visita a una persona ammalata o anziana o sola… Lavoro e festa ci sono dati per umanizzare e santificare il mondo, ovvero il tempo e la sua storia. Adesso e in vista del giorno ultimo, senza fine né tramonto, pienezza di vita e familiarità per tutti.

 

 

 

 


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