Storie di invidie e di dispetti
all’ombra delle statue del Monumentale

Tra i vari “mi, no! Che roba macabra“, “va bene che è il mese dei morti, ma io vado dai miei, mica dagli estranei!”, erano una ventina le persone che hanno aderito all’invito di visitare viali, statue e architetture del Monumentale, dove sono sepolte o ricordate le figure che hanno fatto grande o dato lustro a Milano. Così, in un pomeriggio di sole novembrino avanzato, davanti alle file di crisantemi gialli dell’ingresso ci sentivamo in vacanza perché sapevamo che avremmo scoperto quello che forse non tutti ancora sanno, e cioè che il milanesissimo, ma sempre abbreviato “Monumentale”, è si un cimitero, ma è soprattutto un museo a cielo aperto.
Primo cimitero gestito dal Comune e non dalla Chiesa, era quindi luogo di sepoltura per suicidi, non cattolici e per tutti coloro che non trovavano posto in terra consacrata. In breve, tuttavia si è trasformato nel cimitero dei borghesi, dover si esaltava la potenza della nuova classe politica e sociale che guidava la città. Ed è di quel periodo che per contare in città si diceva che occorresse “una panca in Duomo, un palco alla Scala e una tomba al Monumentale”. Per i bimbi era l’occasione di guardare gli angioletti e i castelli fatati, per inaffiare le aiuole davanti alle tombe dei nonni e portare fiori nuovi; per le mamme era l’appuntamento per incontrare la zia, la cugina, la sorella. Così si univa l’utile – portare i bambini all’aria aperta tra gli alberi e ricordarsi dei cari estinti – al dilettevole, cioè le chiacchiere e saluti tra i vivi che s’incontravano per l’occasione.
Ci ha fatto da guida Cristian, giovane e preparatissimo prestato dal Servizio Civile. Camminando al nostro stesso passo ha saputo raccontarci la storia del Monumentale con notevole umorismo; iniziando dalla salita al Famedio (il Tempio della fama) abbiamo trovato lunghe liste di nomi – anche non milanesi – che hanno fatto la storia e la cultura di Milano.
Ci siamo commosse davanti alla milanese per antonomasia, Carla Fracci, che girando i teatri ha portato nel mondo la grazia, la generosità e la discrezione della Milano migliore e abbiamo scoperto tumulazioni importanti e memorie scolpite di eroi e di saggi.
Poi lungo i viali tappezzati di foglie gialle e marroni, ecco i sepolcri di personaggi più o meno famosi, edicole più o meno vistose, cuspidi e pinnacoli, donne piangenti e statue della morte con la falce. Sempre con Cristian che alternava informazioni e pettegolezzi storici di liti e rivalità, di amori e tradimenti, di successi e di sventure incuriosendoci e facendoci un po’ indignare e un po’ sorridere. Così abbiamo riso divertite davanti all’Edicola Campari (Milano da bere) di Giannino Castiglioni, rielaborazione dell’Ultima cena leonardesca e subito ribattezzata “L’ultimo aperitivo” per la bonaria ironia meneghina, con gli apostoli perplessi davanti a un calice che pare un grande bicchiere.
Il Castiglioni, bontà sua, scelse di consegnare a Giuda – mano nascosta e lineamenti distorti e spregevoli – la sua vendetta nei confronti del rivale in arte Arrigo Minerbi, colpevole di essersi aggiudicato, a discapito dello stesso Castiglioni, la commissione per la realizzazione della porta dell’Editto di Costantino del Duomo di Milano. È risaputo: la vendetta è un piatto da servire freddo e nel casso particolare è piatto perpetuo…
Sempre del Castiglioni ci ha invece affascinato la via Crucis dell’Edicola Bernocchi, commissionata da Antonio Bernocchi in ricordo della moglie: un magnifico cono ascendente che ricorda la Colonna Traiana, con la prima scena dedicata al tradimento di Giuda; neppure da dire: Giuda ha i tratti del Minerbi, sempre lui, il volto tormentato e il corpo schiacciato dal peso del suo tradimento. Il racconto continua con il rinnegamento di Pietro e le varie tappe della Passione. Culmina con la Crocifissione per finire con il messaggio di speranza della Resurrezioine.
Sulla strada del ritorno, ancora divertite dalla rivalità dei due grandi esponenti della scultura del Monumentale, abbiamo rivisto volentieri l’edicola funeraria a Isabella Airoldi Casati di Enrico Butti: tenero monumento funebre del marito in memoria della giovane morta di parto a 24 anni. La rappresenta negli ultimi istanti di vita, con gli angeli accanto a lei per accompagnarla nell’aldilà.
La nudità della giovane giacente a quel tempo aveva creato grande turbamento della giuria che doveva accettare l’opera. Inizialmente ritenuta poco decorosa per una scultura tombale, è oggi invece uno dei monumenti più ammirati del cimitero.
Ormai le ombre si allungavano nei viali e il freddo ci diceva che era arrivato il momento dei saluti. Così ci siamo ripromesse di tornare una seconda volta, in diversa stagione, per uno degli altri itinerari possibili lungo i viali del Monumentale.
Naturalmente guidati sempre da Cristian!
Irene