Razzismi 2.0: come combattere l’odio online

Odio on line, razzismi 2.0, hate speech e ostilità verso l’altro: la diffusione di azioni e linguaggi violenti nel Web preoccupa soprattutto chi cerca risposte educative. Non si tratta di fenomeni nuovi, ma l’ambiente digitale fa acquisire caratteristiche specifiche e particolari. Di questo (e altro) tratta il libro di Stefano Pasta – “Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online” (Scholé-Morcelliana, 2018) – dottore di ricerca in Pedagogia, presso il Centro di Ricerca sull’Educazione ai media dell’Informazione e alla Tecnologia della Cattolica di Milano, dove si occupa di educazione alla cittadinanza nell’ambiente digitale.
Stefano Pasta nel nostro quartiere – dove è nato e dove vive – è molto conosciuto ed è a lui che si fa riferimento per le famiglie Rom che vengono assistite dalla Comunità di S. Egidio nella Palazzina solidale tra la chiesa e l’oratorio di Greco.
Lo scorso anno ha vinto il premio Giovane Ricercatore 2017 della Società Italiana di Ricerca sull’Educazione Mediale. È membro del Centro di Ricerca sulle Relazioni Interculturali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. È esperto d’interventi a contrasto delle discriminazioni, e in particolare della presenza di rom e sinti in Italia, su cui ha realizzato la guida multimediale Giving memory a future. Ha scritto saggi sull’intercultura, sui flussi migratori e sulla didattica della Shoah. Giornalista professionista, collabora con diverse testate nazionali (Avvenire, la Repubblica.it, Corriere della Sera.it, Famiglia cristiana). Nel 2011 ha vinto per l’Italia il premio “EU journalism Award – Together against discrimination!” della Commissione Europea.
Un esperto, quindi, nel trattare di rapporti interpersonali e del loro cambiamento con l’avvento di internet e dei social. Anzitutto emerge una novità: online diventa molto più labile la separazione tra razzismi espliciti e latenti, teorizzata negli ultimi decenni. La cultura convergente e la partecipazione 2.0 diffondono e normalizzano contenuti dichiaratamente ostili o violenti. Il processo di accettazione sociale, che spesso passa dalla critica al “politicamente corretto”, dall’ironia e dalla pretesa di “non essere preso sul serio”, si nutre della deresponsabilizzazione degli utenti e della banalizzazione delle pedagogie d’odio. I razzismi si presentano, insomma, come semplificazioni interpretative di un mondo complesso.
Il libro – destinato a insegnanti, educatori, operatori sociali, studenti, decisori politici e cittadini – propone un nuovo modo di pensare la media education, facendola uscire dal recinto dell’educazione formale per promuoverne l’incontro con la prevenzione e la cittadinanza. Non basta più educare lo spettatore, serve anche educare il produttore che ogni spettatore è diventato grazie allo smartphone che ha in tasca. Insieme al pensiero critico occorre sviluppare responsabilità; in questa direzione sono analizzate le varie caratteristiche dell’ambiente digitale, come la velocità, l’anonimato, l’autorialità, il ruolo delle immagini e del flaming, nonché alcune conversazioni via social network sulle performances razziste degli adolescenti: un caso di etnografia virtuale, ma anche un tentativo di educazione alla riflessività.
Come si risponde all’odio verso l’altro? Come si crea responsabilità sociale? Alla media education si affianca il contributo della pedagogia interculturale e dell’educazione alla cittadinanza. La proposta è un approccio morale che educhi a comportamenti di aiuto e cooperazione, orientando ad essere non solo naturalmente, ma anche culturalmente, “negli” altri e “per” gli altri. Si apre dunque un grande campo educativo, ancora più importante della denuncia: promuovere gli anticorpi della Rete e l’attivismo digitale di cittadini che devono essere formati come agenti morali capaci di soggettività critica, attraverso l’assunzione di responsabilità personale.
“Razzismi 2.0. Analisi socio-educativa dell’odio online” si apre delineando l’evoluzione dei razzismi e della loro categorizzazione; continua analizzando le caratteristiche dell’ambiente digitale che facilitano la propagazione dei razzismi e dell’odio; infine, una terza parte è dedicata alle proposte per suscitare anticorpi e attivismo digitale che non sono l’opposto dell’hate speech, ma si muovono verso l’assunzione di responsabilità personale.